16 de março de 2010

Domanda

Ci sono cose, tante cose che non capisco, che non riesco a vedere come giuste, anche se tutti dicono che è così che deve essere. Dicono che tu devi fare le cose che fanno gli altri. Tanto fuori come dentro della chiesa la cosa è uguale: se fai qualcosa di diverso sei strano, peccatore, oppure hai qualcosa che non va in te. Non che le regole siano delle cose terribili, non che non si deve seguire un modo di condotta che sia morale. Ma ci sono delle piccole cose che mi infastidiscono, non mi sembrano poi tanto cattive. Sarà perché nel mio paese d'origine cose come "il credente" che beve il vino o un cocktail non è niente di male. E dopo sono venuta e mi hanno detto dal nulla che è peccato.
Non dico che tutti quanti dovrebbero ubriacarsi, o che bere sia una meraviglia. Ma la proibizione non insegna auto controllo, soltanto limita il condotta per paura: se sbagli andrai in inferno, sarai in peccato, ecc. Immagino che fuori della chiesa le cose sono al contrario: se non bevi, se non vai a letto con chiunque trovi per strada, allora hai qualcosa che non va. Neanche in questo c'è auto controllo, neanche un pizzico di amore per se stesso. Fai le cose per pressione di gruppo.

E per me questo non va bene. Io devo fare le cose cosciente delle conseguenze. Devo sapere, o per lo meno cercare di sapere se una cosa è buona o cattiva, non perché gli altri mi dicono, ma perché mi farà del male. Non che le regole, come ho già detto, siano cattive. soltanto che bisognano di un spiegazione. Quello di "è cattivo perché si" non va più bene. Per lo meno per me.

E qui arriva la mia domanda. Dicono che se tu hai sbagliato, devi sopportare per sempre le conseguenze del tuo sbaglio. Io non so, non riesco ad accettare che sia così. E' una questione delicata, perché ci sono sbagli in cui i danni non sono subiti soltanto dai protagonisti dello sbaglio, ma anche di quelli che li circondano.

Uno di questi è il divorzio. Dicono che non ti puoi divorziare, in chiesa, se non perché qualcuno ha commesso adulterio. Io non sono d'accordo con questo. Chiaro, non sono neanche d'accordo con quelli che si divorziano perché lui l'ha guardata male o lei non ha fatto bene il cibo. Io credo che il matrimonio sia un compromesso, qualcosa che si fa con la testa e non soltanto con il cuore, un compromesso di dividere l'esistenza con una persona diversa di te, che ha difetti e qualità, che ha certi gusti e manie, e che non cambierà per diventare quello che c'è nell'immaginazione dell'altro. Che questo è uno degli sbagli più comuni di chi si sposa: pensa che potrà cambiare il suo compagno per farlo diventare un principe azzurro. Se si ama una persona, la si ama così com'è.

Ma ci sono situazioni che non so se si possono sopportare per sempre. Diciamo pure che due persone si sono sposati senza pensare. Per una gravidanza, per uscire dalla casa paterna, per tante ragioni... e poi si rendono conto che le cose non vanno bene. Noi siamo, alla fine, esseri umani, e gli esseri umani la maggior parte del tempo sbagliano, sia di proposito o involontariamente. Allora, non dico che non si deve lottare per raggiungere una soluzione. Non dico che alla prima discussione si deve rinunciare al matrimonio. No. Parlo della fine della strada, quando tutto già si è fatto, o quando le persone sono già così stanche di lottare che non ce la facciono più. In queste opportunità, cosa dobbiamo fare, condannare queste persone alla sofferenza eterna perché "il matrimonio non si può finire"?

Così è che nascono le doppie vite. Felicità fuori di casa, facendo finta che tutto sta benissimo. E poi, dentro di casa, l'inferno. Oppure maltratti, parole cattive che feriscono più che un calcio o un pugno in faccia. E se la coppia ha dei figli, e questi sono abbastanza grandi per capire un po' cosa succede, allora l'inferno è più completo. I bambini qualche volta pensano che sia colpa loro. Anche se non fanno così, loro soffrono. Loro vedono la sua casa diventare scenario di guerra ogni volta che qualcuno dei suoi entra nella casa, e l'altro è lì. L'aria diventa pesante. Tutto tace. E il dolore si può quasi toccare in ogni cuore.

Non è più salutare finire le cose in pace? Non è meglio esseri onesti con se stessi? E con i figli? E con gli altri? Prima di fare qualcosa di peggio, che faccia soffrire ancora di più l'altro?

Ma quello che mi porta a scrivere non sono le motivazioni del divorzio. Ognuno con la sua coscienza. Ognuno con il suo amore, il suo egoismo (i matrimoni tante volte finiscono per l'egoismo di uno o dei due...). Ma qui io voglio dire che per me è meglio il divorzio alla sofferenza. Meglio abitare in luoghi diversi, ad abitare una sola casa e fare di questa un tormento diario, fino ad arrivare a non voler tornarci più. Meglio finire con l'ipocrisia che tante volte le persone esigono, chiedono, mettono sulle spalle dei diretti interessati, che alla fine dei conti non hanno niente da rendere conto agli altri.

Non è male chiedere di tentare. Non è male cercare di aiutare, quando la coppia cerca quest'aiuto e da confidenza alle persone (non troppe, fin per carità), e sperare che il matrimonio non finisca. Ma quando una cosa deve finire, deve finire. E le persone esterne alla coppia, esterne alla famiglia, non capiranno mai cosa succede dentro di casa. per questo loro non devono aprir bocca quando le cose finiscono. Non devono venire con l'argomento moralista-religioso che dice che "Dio ha fatto il matrimonio per non finire mai". E' vero. Dio lo ha fatto. Ma l'ha lasciato nelle nostre mani. siamo noi che facciamo la scelta di sposare qualcuno (grazie a Dio, per lo meno in questa parte del mondo). Siamo noi che tante volte non pensiamo, non vogliamo ascoltare consigli. Siamo noi. E ognuno è protagonista della sua storia, ognuno sa cosa fa e cosa pensa e sente. E nessun altro ha il diritto di venire ad imporre niente. "Rimani sposata oppure ti chiediamo di lasciare questo posto". Che assurdità. Eppure occorre.

Ripeto: nessuno ha il diritto di ficcare il naso negli affari degli altri. Nessuno ha il diritto di dire che è peccato divorziare. Nessuno ha il diritto di escludere le persone perché scelgono fare cose che non vanno d'accordo con quello che quel nessuno pensa. Non sono d'accordo con quei moralisti che mettono tutti in scatole: questo è peccatore, questo è giusto (segue tutte le mie regole), questo è divorziato, questa è puttana (non intendo offendere usando questa parola). Non sono d'accordo con la passività davanti alla sofferenza. Mamma mia, se stai soffrendo, fa' pure qualcosa! Ah, ma come dicono che non si può... come dicono che devi soffrire fino alla morte... allora facciamo finta! Non si può. Io non potrei. E non vorrei imporre a qualcuno il peso eterno di dover sopportare una sofferenza eterna.

Cosa c'è di male nel andare contro la corrente? Perché si deve sempre accettare quello che dicono gli altri senza pensare se va bene, senza riflettere si è davvero il meglio per noi? Cosa c'è di male in lottare, e nel stancarsi di lottare? Perché le persone parlano nel generale sempre? Non tutti sono uguali. Anzi, ognuno è un mondo. Cada caso è diverso. Ci sono quelli che divorziano per sport. E ci sono quelli che non sopportano più la tristezza. Non si può giudicare i due ugualmente. (Soprattutto, non si può giudicare). Non si può dire che il divorzio in generale è un crimine. Quando c'è bisogno, c'è bisogno.

Ebbene, il mio post si chiama domanda, ma faccio qui tante domande... non capisco ancora come le persone possono essere così ingiuste con le altre, senza importarsi veramente con loro, soltanto facendo pressione per avere un'apparenza di benessere... ma solo apparenza. E dopo dicono che sono servi del Signore e robe del genere. Già non so a chi credere... Misericordia!

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